Premessa
In una intervista su Vie nuove Godard mi ha chiamato
<< burocrate ». Si è posto, Godard, il problema linguisti-
co della parola « burocrate »? No, ma evidentemente l'ha
implicato. Tutte le peripezie di questa parola, dalla base
del suo uso canonico (ministeri e affini), al luogo, analo-
go ma oltre la linea di demarcazione rivoluzionaria -,
dello stalinismo, il suo ritorno, sotto forma metaforica,
nelle autocritiche dei Partiti comunisti dopo il XX Con-
gresso, e la graduale rarefazione di tale uso (culminato
nel mondo culturale cecoslovacco, ma anche sovietico du-
rante gli anni ottimistici, kruscioviani), il rimbalzo, poi,
di tale parola in ambienti tout-court anticomunisti di si-
nistra, comprendente in un solo semantema << seniore >>,
sempre più metaforico, comunisti staliniani, comunisti
anti-staliniani, e comunisti mezzi e mezzi; e infine il suo
revival, in un luogo « misto », che comprende avanguar-
die e movimenti studenteschi, in cui « burocrate >> è de-
finizione denigratoria ugualmente in senso estetico e in
senso politico, ecc., ecc. Godard ha colto il «< significato >>
del << significante » burocrate, come un ornitologo che in-
filzi con l'ago un insetto al volo. Perché l'ha fatto, nei
miei confronti? Perché io mi occupo di linguistica e di
semiologia (male, da dilettante, come peraltro asseriscono
alcuni professori universitari, autori cronologicamente
dietro mia iniziativa di fumosi e illeggibili scritti di
semiologia del cinema, forse culturalmente esatti, ma sen-
za un'idea). Nel momento in cui mi occupo di linguistica
e di semiologia sono, per Godard, dunque, un rompisca-
tole. E quindi un burocrate. Perché l'università è buro-
-
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cratica; perché l'accademia è burocratica; perché la spe-
cializzazione è burocratica; perché il lavoro è burocrati-
co. E Godard, temendo di essere mangiato da tutta que-
sta burocrazia, sospende ogni « distinguo » e si difende
in blocco dai rompiscatole. In cosa consiste, insomma,
l'evidente equivoco del mio dolce, umanissimo amico Go-
dard? Consiste nel credere ingenuamente che ogni lingui-
stica e ogni semiologia siano normative.
-
« >>
Ora, la norma, e la normatività, sono effettivamente
antropofaghe; bisogna effettivamente preservare, nei loro
confronti, la propria integrità fisica. Però - ed è questo
il punto ignoto a Godard
non è affatto vero che la
linguistica e la semiologia siano normative. Anzi, in real-
tà, in quanto scienze, non lo sono mai (lo diventano solo
nelle scuole o nelle accademie). La linguistica e la se-
miologia non sono che strumenti di descrizione interna,
e quindi di comprensione specializzata »> - cioè pro-
fonda dell'opera. (Perché ormai solo la specializza-
zione, gergale, può consentire la profondità.) Ora, il ci-
nema di Godard è un cinema specializzato proprio in
questo senso: ed ha contribuito a creare il cinema come
linguaggio che ha come oggetto se stesso =
gio. Solo che Godard, gergalmente, non lo sa. Ma ciò
metalinguag-
non significa niente e non esclude la realtà della cosa.
Godard ha un'idea mitica del cinema: e nel momento
in cui fa del << cinema sul cinema >> fa del << mito sul mi-
to », è vero. Tuttavia, a parte objecti, cioè da parte mia,
che lo studio, ciò non toglie che Godard, proprio col suo
cinema come metalinguaggio, faccia della semiologia
vivente » sul cinema.
«
E adesso rovescio la situazione. Godard dà del buro-
crate (del creatore di « norme >>) a me, che invece sono
un semplice (dilettante) analista, ricercatore oggettivo di
norme esistenti. Invece la realtà è che il « creatore >> di
norme (dunque il « burocrate ») è lui. Infatti, facendo del
cinema sul cinema, in ogni suo film, Godard ha istituito
necessariamente una serie di strumenti stilistici, formali
. grammaticali, onde attuare questa operazione
e...
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« me-
talinguistica >> di riflessione del cinema su se stesso. E
perché questo è avvenuto? Perché Godard è nel fondo
della sua natura un saggista (o, per meglio dire, un mo-
ralista tipico della cultura francese): l'incontro tra il ri-
cercatore linguistico inconsapevole (anzi, faziosamente
ostile a ogni forma di consapevolezza), e il moralista di
fondo, non poteva non far sì che l'invenzione di nuove
norme non fosse normativa. Il moralista è sempre precetti-
stico e, anche se in modo adorabile, terroristico. Le prove?
Ebbene, almeno metà del cinema nuovo in tutto il mondo
è godardiano, cioè obbedisce a delle regole, segue delle
norme, stabilite, sia pure senza intenzione normativa, da
Godard. In tutto il mondo, ripeto. Segno della sua im-
portanza, miracolosa: ma anche della sua « autorità ».
Da cui egli, uomo delizioso
fraterno e non paterno
-
-
- si difende anche con rabbia, ingenua.
In conclusione: tutti i film di Godard, com'è noto,
sono dei << contes philosophiques », il cui pensiero filo-
sofico è essenzialmente linguistico. Di conseguenza il pre-
sente libro è un libro completamente metaforico: e un
bravo studente universitario (non certamente allievo del
professor Garroni) potrebbe tradurlo, letteralmente tra-
durlo, in un manuale dove si spiegano, nel loro nascere
e nel loro definirsi, le condizioni mentali, prima, e poi
tecniche, attraverso cui si rende normativo il cinema co-
me metacinema.
Pier Paolo Pasolini
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